Ulula ad un pieno di luna solo chi non ha le mani sporche di farina e si può ancora salvare dai disastri dell'aderenza usando due cucchiaini di malto.
Siamo in grado di tenere la bocca chiusa quando serve ma trattiamo le battaglie ancora come giuramenti, perché è più lontano dalla fine chi mangia con la testa. Vogliamo sentirci speciali anche in metropolitana, nel mezzo del cammin di molti altri; quando quello che dovremmo saper fare è mangiare il nostro tozzo di pane e sperare di renderlo sapido abbastanza. Riusciamo a riconoscerci anche senza bisogno di un nome? O non guardiamo piuttosto dentro il gusto degli altri per accomodarci e riconoscerci? Voglio mangiare tutto, anche il nominalismo; e voglio cucinare per tutti, costringere gli inappetenti a gustarsi pure l'aria con l'aggiunta di papavero in semi e decilitri di acqua tiepida.
E che tanto tutto si aggiusta ce lo hanno già detto, ma andrebbe diviso, sezionato, messo uno accanto all'altro e poi spinto in una zona calda, rassicurante, capace di dorare la superficie e rendere ogni singolo un fratello.
Per uscire dalle miniere bisogna portare con sé qualcosa da moltiplicare, creare miracoli tra le rocce e far splendere diamanti grezzi che messi al collo ci permettono di volare.
E sperare di avere ancora lacrime da versare per un paio di kg di pasta cresciuta.
pane integrale ai semi di papavero,
singolari al plurale.
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